PIATTAFORME, PIÙ NOTORIETÀ MA MENO DIRITTI

Il business si è spostato da chi faceva musica, a chi la fa ascoltare. 

di Tiziana Pavone

Se non sei su una piattaforma, non sei nessuno. Gli artisti pubblicano in autonomia sui social regalando le loro opere, pagando per promuoversi. Il Festival ormai pesca tra i concorrenti più graditi in rete. È un bel cambiamento, rispetto al passato. È tutto qui, l’affare?  

C’è il rovescio della medaglia: l’auto Marketing toglie diritti. Ecco come stanno le cose e perché tutelarsi prima.

Intervista di Tiziana Pavone all’avvocato Giorgio Tramacere, professionista di lungo corso in materia di diritti d’autore e lui stesso autore.

Sui social è possibile pubblicare, condividere canzoni o opere altrui?

No, perché l’opera appartiene esclusivamente a chi l’ha creata e soltanto l’autore dell’opera ha il diritto esclusivo di disporne, per tutto quello che attiene all’utilizzazione economica. La paternità dell’opera è un diritto assoluto e nessuno può utilizzarla, pubblicarla, sfruttarla economicamente o sincronizzarla con immagini o con un video. Ogni social ha una propria disciplina in tema di tutela di diritto d’autore, che stabilisce delle linee guida alle quali qualsiasi utente deve attenersi. Questi regolamenti sono chiari ad informare gli utenti sui rischi correlati all’utilizzo illecito di opere altrui. Nessuno può utilizzare opere di altri salvo il preventivo consenso espresso da parte dell’autore originario e a condizione che l’opera pubblicata consenta ai fruitori di individuare l’autore originario. In altre parole, la pubblicazione deve consentire ai terzi di risalire a chi ha creato l’opera pubblicata.

Cosa pensi del marketing che tante piattaforme promettono ai giovani artisti e produttori?

La rete è piena di piattaforme e siti che in pratica sono specchi per le allodole. Tanti di questi siti illudono i giovani autori di poter garantire la promozione della loro musica, ma in realtà così non è. La maggior parte di questi siti è un servizio a pagamento. Si arriva spesso al paradosso che è il produttore a dover pagare il servizio per vedere i propri brani distribuiti on line. In questo modo oltre a fare un regalo a questi soggetti si paga pure. Quello che sfugge a tanti giovani è che non sono loro che dovrebbero pagare questi portali. Chi dovrebbe pagare sono queste organizzazioni, che dopo aver distribuito sugli store digitali la musica dovrebbero trattenere una percentuale dai proventi raccolti dagli store e girare il resto (almeno il 70%) ai produttori originari. Consiglio sempre di leggere bene le condizioni prima di sottoscrivere e aderire al contratto.

Cosa pensi dell’auto marketing che spesso i giovani fanno della propria musica?

Pubblicare direttamente i propri lavori su YouTube e su FB non serve proprio a niente. Consiglio sempre di rivolgersi ad una casa discografica che ha sicuramente una struttura più idonea per veicolare e distribuire i prodotti.

Quanto può guadagnare un produttore o un giovane artista con la distribuzione on line?

Il discorso è complesso e tutto dipende dalla validità della materia prima e dal soggetto a cui viene affidato lo sfruttamento economico del prodotto. Secondo un’indagine recente della BBC inglese lo store che remunera più di tutti è la Apple che paga (0,0059 sterline per stream). Spotify invece paga meno della metà (da 0,002 e 0,0038 sterline). YouTube, è ancora peggio perché riconosce ai produttori la misera percentuale dello 0,00052 sterline per streaming! Da tener presente che queste percentuali sono pagate ai possessori dei diritti (case discografiche e produttori) e quindi agli artisti interpreti finirà ancora meno.

Cosa consigli quindi ai giovani artisti?

Di leggere sempre molto bene le condizioni di qualsiasi proposta, prima di firmare contratti o prima di aderire alle condizioni contrattuali di qualsiasi sito o piattaforma chiedere sempre a un avvocato del settore o a un addetto ai lavori.