Anilda Ibrahimi racconta “Volevo essere Madame Bovary”

Nel giardino di Irene Brin il 12 giugno un incontro sui modelli femminili descritti

di Matilde Mazzia

BORDIGHERA. Domenica 12 giugno alle ore 16,00 appuntamento a Sasso per un pomeriggio nello splendido parco della villa dove visse Irene Brin: un incontro dal respiro internazionale che sarebbe piaciuto molto alla Brin, simbolo anche di emancipazione femminile; un incontro speciale con l’autrice albanese italofona Anilda Ibrahimi che nasce a Valona nel 1972. Dopo il conseguimento della laurea presso l’Università di Tirana, si trasferisce in Svizzera per approdare dopo tre anni in Italia, dove, fino al 2003, ricopre il ruolo di consulente per il Consiglio Italiano per i Rifugiati, occupandosi di diritti umani e scrivendo per diversi giornali.

Anilda Ibrahimi con “Volevo essere Madame Bovary”, scrive un romanzo sulle insidie dell’appartenenza e della memoria, sui modelli femminili da incarnare e ribaltare, sull’importanza di rimanere fedeli a ciò che siamo diventati quando il tempo insiste per riportarci indietro. Nel 2008, pubblica con la casa editrice Einaudi il suo primo romanzo Rosso come una sposa, con il quale si aggiudica i premi Edoardo Kihlgren-Città di Milano, Corrado Alvaro, Città di Penne e Giuseppe Antonio Arena. Poi altri splendidi libri “ L’ amore e gli stracci del tempo”, “Non c’ è dolcezza” “ Il tuo nome è una promessa”. Ad intervistare l’ autrice sarà Olimpia Gargano, ricercatrice in Letteratura Comparata presso il Dipartimento CTEL dell’ Universitè Nice Cote d’ Azur, traduttrice da inglese, francese e tedesco, che da anni porta avanti la sua ricerca dedicata all’ immagine dell’ Albania nella cultura europea moderna e contemporanea. Ha curato e tradotto la prima edizione italiana di Mary Edith Durham. Letture a cura dell’ attrice e doppiatrice Silvia Villa . L’incontro sarà arricchito dalla musica del chitarrista Giovanni Peirone e dalla voce della cantante Francesca Pilade. ̈Volevo essere Madame Bovary’’ racconta di Hera che nasce in un Paese del socialismo reale dove la donna lavora almeno quanto l’uomo e la bellezza è una colpa, soprattutto per una ragazza ambiziosa come lei. Da piccola divorava i romanzi di Tolstoj e Balzac, in cui le eroine sono tutte fedifraghe e di solito fanno una brutta fine, ma anche tanti libri di propaganda secondo cui l’ideale femminile è sposarsi e lavorare in campagna. Hera è cresciuta cosí, in bilico tra il desiderio di diventare qualcuno e la consapevolezza di dover rigare dritto, tra la voglia di vestirsi alla moda sfidando le censure del regime e i rimproveri di nonna Asmà. Poi, un giorno, è partita per Roma. In Italia all’inizio ha sofferto, si è sentita smarrita. Insieme a Stefano però ha trovato il suo centro: è diventata un’artista, ha dei figli che ama, non ha piú avuto paura di sembrare troppo. E allora cosa ci fa a Tirana con Skerd, uno con cui non ha nulla da condividere se non il corpo? E perché insieme a lui sente pulsare cosí forte l’eco della lingua madre? Hera non è piú quella ragazzina che cercava il grande amore nel dramma e negli uomini autoritari, ma ogni cosa intorno a lei sembra volerla ricacciare di nuovo nel passato da cui è fuggita. Con la sua voce essenziale e un umorismo piú tagliente che mai, ci regala un libro che tocca l’anima.

I LIBRI

Rosso come una sposa

tra il disegno di ben quattro generazioni femminili, fulcro del romanzo, e le descrizioni paesaggistiche e storiche dell’Albania. La donna con tutta la sua forza, la donna vista come guardiana indiscussa della memoria e delle potenzialità del futuro; il rosso, il colore del velo della nonna, del sangue, del comunismo sinonimo di oppressione. Donne e rosso, in un libro che la scrittrice dedica a sua nonna, Salihe, che racchiude diverse vicende funeste, morti e disgrazie. Per ogni situazione negativa narrata, arriva la bellezza della positività della Ibrahimi, il suo grande amore per la vita e la sua fiducia totale nel potente coraggio femminile. Dosa bene le parole l’autrice, creando così, un perfetto equilibrio con i concetti espressi, donando un ritmo armonico e musicale al racconto. Una scrittura semplice, che lascia trasparire le emozioni dando al libro una carica di forte emotività, oltre che un volto “storicamente” importante.
La Ibrahimi narra attraverso i fatti, attraverso le storie e i profumi, i sapori dei dolci, del caffè turco, delle mele cotogne, perché tutto è racconto, tutto è Albania.

L’amore e gli stracci del tempo

Ancora una pubblicazione con la casa editrice Einaudi nel 2009, con ristampa nel 2011 per Anilda Ibrahimi. L’amore e gli stracci del tempo, un romanzo che narra di sofferenza, di distacco e di sentimenti. Zlatan e Ajkuna, si conoscono da tantissimo tempo, da quando i genitori di lui portano la piccola e sua madre a Pristina. Una famiglia serba e una kosovara unite da un legame forte e indissolubile, che non guarda il pregiudizio e non raccoglie la sfida di una guerra, nata per soddisfare l’ego dell’orgoglio nazionalista. I due giovani si amano, pur non ricordando quando nasce veramente il loro sentimento, che forse è vivo da sempre. Nel 1999 Zlatan è costretto a lasciare Ajkuna per servire la propria Patria, che sente ormai lontana. La promessa fatta è quella di rivedersi, in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento. Un romanzo pregno di emozioni e di vive sensazioni e di quelle passioni che portano a percorsi di crescita, maturazione e consapevolezza. Le vicende sono ben descritte e i personaggi protagonisti ben delineati nella loro interezza, sino a toccare la parte più intima dell’Anima. Fatti di umanità che ancora una volta ben si mescolano con le vicende storiche dell’Albania e dei Balcani, il tutto esposto in maniera non giudicante. Un libro, in cui il passato è presente, con uno sguardo rivolto al futuro, perché i tempi che furono spesso si legano agli uomini con un filo indelebile. Un passato che c’è esiste, che non può essere cancellato, ma non può nemmeno più tornare, perché il tempo è un distruttore indisciplinato delle epoche passate e della loro valigia di ricordi. Uno stile che si fa aspro, una scrittura che rimane stretta nella morsa della linearità, atta a sottolineare l’irrevocabilità del perduto. L’infanzia è un pezzo di vita dolce come miele per i protagonisti, ma è irrimediabilmente finita. La vita va avanti nell’accettazione e soprattutto nell’Amore e nella forza che esso dona. Non aspettatevi un romanzo scritto con patetico sentimentalismo, tutt’altro. Ancora una volta la Ibrahimi narra con profondo realismo, non rinunciando all’immensa fiducia che nutre nei confronti dell’umanità, della vita stessa e dell’amore, armi imbattibili contro ogni male. Anche in questo L’amore gli stracci del tempo, l’autrice da prova di quanto la velata ironia che aleggia, sia utile per stemperare l’intensità del racconto, che spesso si snoda intorno ad argomenti forti, come guerra, fanatismo, razzismo, il dramma dei rifugiati e la solidarietà tra gli ultimi. Un “racconto” d’amore che dondola su un’altalena costruita dalla Storia e dalle sue vicende, che non esitano a sfiorare il bene, tanto quanto il male.

Non c’è dolcezza

L’Albania e i suoi profondi cambiamenti fanno da sfondo al romanzo Non c’è dolcezza (Einaudi, 2012). Eleni e Lila sono amiche, bambine e poi ragazze felici di condividere la quotidianità. Si innamorano entrambe dello stesso giovane, Andrea, sino a quando la vita non le separa. Lila si sposta a Tirana per frequentare gli studi, dove diventa maestra, entrando in contatto anche con il Partito, le sue funzioni e le sue regole. Qui sposa Niko il fratello di Andrea, con cui costruisce una bella famiglia. Eleni rimane nel villaggio dove le ragazze sono nate e cresciute, diventando la moglie di Andrea, nel frattempo abbandonato dalla prima moglie, se pur ancora molto legato a lei. La donna non può avere figli, mentre Eleni ne ha già tre. Per questo motivo promette alla sua amica che le darà la femmina che sogna di partorire, la sua quarta figlia. In realtà, nasce un maschio e la donna preferisce non venir meno alla sua promessa, donando comunque il bimbo a Lila. Eleni non sa ancora quanto la sua scelta condizionerà il loro futuro. Una saga famigliare fortemente intrecciata alla storia dell’Albania, con tutte le suecontraddizioni e le sue asperità. Delicata la scrittura e fortemente evocativa nella rappresentazione di un mondo in cui la Storia albanese, con le sue tante sfaccettature passate e le sue contraddizioni presenti, sembra non separarsi mai da quella personale e quotidiana di ogni uomo. Ancora una volta è protagonista il tempo che scorre, dove poco o nulla cambia, dove quelle scelte fatte per il bene, rivelano, loro malgrado, anche la parte di volto malvagio. Anilda prende per mano il lettore e lo conduce in un mondo sconosciuto a tanti, in un tempo passato che molti ignorano; quattro passi in quel pezzo di storia d’Albania che ha mosso il Paese dal ‘900 sino a oggi. Soprattutto, la Ibrahimi disegna un profilo femminile forte, che va al di là della cultura patriarcale, cercando di abbattere lo stereotipo della donna albanese sottomessa al potere maschile, debole e remissiva.

Il tuo nome è una promessa

Il tuo nome è una promessa (Einaudi, 2017) è il romanzo di Anilda Ibrahimi vincitore del Premio letterario nazionale per la donna scrittrice “Rapallo Carige”. Abigail è fuggita dalla dominazione fascista, accolta generosamente dall’Albania. Una salvezza che le è costata la separazione da sua sorella e una vita gestita dal regime comunista. Circa cinquant’anni dopo, arriva a Tirana Rebecca, la figlia di Esther, sorella di Abigail: la donna si reca in Albania per questioni lavorative e per tentare di sfuggire alla fine del suo matrimonio o quanto meno per non assistere alla sua distruzione. Rebecca sa tante cose dell’Albania, la Nazione che ha dato ospitalità a sua madre, permettendole di evitare la persecuzione nazista, in quanto ebrea. La donna sa, anche, che Esther ha sempre rimpianto la lontananza da sua sorella. Pensa a tutto questo, non sapendo ancora che sarà a Tirana che incontrerà il suo passato e si scontrerà con il proprio presente. Rebecca e Abigail, due figure con due storie completamente differenti: la prima è una donna in carriera, che vede il rapporto con suo marito spegnersi, la seconda è una donna che ancora soffre per aver perduto la propria famiglia, in un momento storico in cui l’umanità era finita. Due vicende di vita quasi contrapposte per raccontare l’Albania da un’angolazione differente, che tocca con mano il senso di accoglienza e di ospitalità riservato ai rifugiati ebrei. Elegante e delicata la narrazione che si veste quasi di poesia, impreziosita da accurate descrizioni paesaggistiche e dal ricorrente tema dell’amicizia, come bellissima forma d’amore. La poesia si mescola alla narrativa per disegnare piacevolmente fatti di pura quotidianità, o per sottolineare con grande potenza emotiva la forza dei sentimenti e dei legami famigliari. Molto interessante la chiave di lettura data dal personaggio di Rebecca: un’americana che tenta di stabilire una connessione con l’Albania, che in parte è anche la sua terra, leggendola con gli occhi di chi ne ha sempre sentito parlare, sentendo un’intima e un’intrinseca appartenenza.