Il sito archeologico ai Balzi Rossi tra i più importanti al mondo. Intervista all’archeologo Fabio Negrino

BALZI ROSSI. Chi di noi abitanti del Ponente ha visto il sito archeologico dei Balzi Rossi? Pochi, immaginiamo. Risultato scontato dedotto dal fatto che il vicino Museo Preistorico è quasi sempre semi-deserto. Per non parlare delle scarsissime indicazioni stradali che lo segnalano. Ma se dicessimo che quella dei Balzi Rossi è una delle zone archeologiche più importanti d’Europa, e anche del mondo? Che ci lavorano anche ricercatori canadesi e non soltanto, a proprie spese? Che qui nasce la moderna Archeologia Preistorica? A dirlo non siamo certo noi, ma il professor Fabio Negrino, docente di Archeologia Preistorica (o Paletnologia), dell’Università di Genova, specializzato nello studio del Paleolitico, archeologo e ricercatore. Lo abbiamo visto e intervistato sul posto di lavoro, il sito archeologico dei Balzi Rossi, al Riparo Bombrini, al quale si dedica ormai da più di quindici anni, mentre ha le mani ancora sporche di terra. Accanto a lui anche una decina di ricercatori di varia provenienza, ciascuno intento a svolgere la propria mansione, in rigoroso silenzio: una competente e professionale équipe proveniente dall’Università di Genova e da quella di Montréal, in Canada, che lavora congiuntamente e che setaccia, lava e ispeziona al microscopio, le tracce del sito millimetro per millimetro. Quello che ci colpisce subito è che il riparo paleolitico è stato completamente sventrato per costruire una galleria ferroviaria, intorno al 1870, ancora oggi in funzione: se ormai ciò che è andato perduto non è più recuperabile, ci auguriamo perlomeno che l’intera area dei Balzi Rossi possa avere prima o poi un futuro degno di un sito di fama internazionale, scientificamente noto in tutto il mondo e che questi straordinari studiosi possano essere maggiormente supportati.

Professore, come inizia la storia degli scavi, qui ai Balzi Rossi?
Qui, in questo sito, nasce l’Archeologia Preistorica. Nel 1846 fu il Principe di Monaco Florestano a dare inizio agli scavi: una serie di scavi successivi portò alla luce un numero tanto grande di sepolture del Paleolitico superiore da non conoscerne pari. Tuttavia, nella seconda metà dell’Ottocento, gli scavi furono condotti in modo grossolano, alla vecchia maniera, e le informazioni che sono state desunte da quelle numerosissime tracce sono, tutto sommato, modeste e lacunose. La prima vera indagine archeologica, che portò ad una corposa pubblicazione scientifica, fu quella condotta dal principe Alberto I di Monaco, in onore del quale si terrà presto un importante congresso commemorativo, organizzato dal Museo di Antropologia Preistorica di Monaco. La campagna organizzata dal Principe Alberto, tra il 1895 e il 1902, in concomitanza della fondazione del primo museo, fu condotta dai massimi esponenti in campo dell’epoca, che scavarono in diverse grotte e pubblicarono una serie di monografie. Poi, nella prima metà del Novecento, iniziò gli scavi anche l’Istituto italiano di Paleontologia umana, con importanti studiosi italiani, come Blanc e Cardini, che utilizzavano metodologie di scavo più evolute, ma ancora arretrate rispetto a quelle odierne. Ci fu ancora qualche ricerca nel secondo dopoguerra, dopodiché solo scavi di emergenza: in particolare, quando fu demolito il Casinó, che era stato costruito negli anni Venti, ebbe inizio la speculazione edilizia che avrebbe condotto alla costruzione del nuovo residence e che portò alla luce molti depositi archeologici, parzialmente scavati da Giuseppe Vicino, per anni conservatore del Museo Archeologico del Finale”.

Ora state lavorando al Riparo Bombrini: quando sono iniziati gli scavi qui e a che cosa hanno portato?
Negli anni Trenta venne effettuato un sondaggio da parte dell’Istituto Italiano di Paleontologia umana e furono individuati vari livelli archeologici. Gli scavi furono condotti da Giuseppe Vicino, che individuò una stratigrafia importante, che testimoniava in uno strato di un metro e mezzo la fine dell’uomo di Neanderthal e l’affermazione dell’uomo anatomicamente moderno (AMH, Anatomically Modern Human), come unica specie. Negli strati più profondi sono stati trovati molti manufatti e tracce di attività neandertaliana, mentre nei livelli più alti gli ultimi neandertaliani sembrano rarefarsi fino a scomparire improvvisamente: una vera e propria cesura. Questo ha aperto un’importantissima finestra su un arco cronologico compreso tra i 45 a i 35.000 anni ad oggi, ma la scomparsa dell’uomo di Neanderthal avviene qui in poche centinaia di anni, come testimoniano i pochi centimetri di terra riferibili a questo drammatico passaggio: ma perché questa specie, che visse qui per centinaia di migliaia di anni, che sopravvive a glaciazioni e a periodi di aumento delle temperature, che era dotato già di importanti tecnologie, all’improvviso scomparve? Il Riparo Bombrini potrebbe rispondere a questo mistero, ancora oggi irrisolto: per questo gli scavi qui sono fondamentali. Decisivo, comunque, è stato il ritrovamento in situ di un piccolo dente da latte, appartenente a un bambino di 8 anni, riconducibile alla specie dell’AMH, datato a 40.000 anni fa circa: probabilmente questa specie giunse in Europa già 48.000 anni fa, colonizzandola e ibridandosi con l’uomo di Neanderthal, che già abitava l’Eurasia da migliaia di anni. Improvvisamente l’uomo di Neanderthal scomparve come fenotipo, ma non come genotipo: tutti noi, abitanti dell’Eurasia, abbiamo infatti geni in comune con l’uomo di Neanderthal, frutto appunto di accoppiamenti con AMH”.

Allo stato attuale delle ricerche qual’è l’ipotesi più accreditata per spiegare al lettore l’assoluta affermazione dell’uomo anatomicamente moderno?
Probabilmente noi eravamo un’umanità di altro tipo: quei 700-800 mila anni che ci separano dai più antichi antenati comuni tra noi e loro devono aver avuto un ruolo decisivo nella formazione del nostro pensiero, divenuto altamente astratto e simbolico, diversamente da quello neandertaliano, forse più pratico che speculativo. Queste caratteristiche devono averci reso anche più aggressivi: non abbiamo creato problemi solo ad altre specie umane, ma anche a molte specie animali, di cui abbiamo determinato l’estinzione, le prime estinzioni della storia”.

E allora quali sono le tracce lasciate da AMH al Riparo Bombrini?
Al Bombrini l’arrivo di AMH è testimoniato dal passaggio da una tecnologia a un’altra, paragonabile all’improvviso passaggio dal telefono a gettoni allo smartphone: se i neandertaliani lavoravano la pietra per costruire punte grosse e spesse con cui armare giavellotti lanciati a mano, senza elementi di propulsione, l’AMH inventa la freccia e il giavellotto, armato con sottili lamelle e lanciato, non ancora con l’arco, introdotto solo alla fine del Paleolitico in Europa, ma con il propulsore. Si tratta di una tecnica utilizzata ancora non molto tempo fa dagli aborigeni australiani. Ma c’è anche un importante cambiamento nel tipo di produzione di oggetti: se l’uomo di Neanderthal usa come materia prima pietre locali che trova nei dintorni, i gruppi di AMH che hanno vissuto qui, sfruttano anche materie prime selezionate e importate, soprattutto dalla valle del Rodano (quindi a una distanza di 200 km in linea d’aria), mentre la presenza di pietre e oggetti provenienti da Veneto e Marche parlano di probabilissimi contatti con altri gruppi forestieri di AMH. Infine, cambiamento fondamentale, è la comparsa dell’espressione simbolica: qui sono state ritrovate centinaia di conchiglie forate, utilizzate per realizzare collane, ma anche pendenti intagliati in ossa di uccello, pendenti in steatite e ocra rossa, che testimoniano il passaggio a un’elaborazione simbolica, quasi del tutto assente tra i neandertaliani, e la nascita del pensiero speculativo astratto, caratteristica che contraddistingue la nostra specie. E questo si riflette soprattutto nella Parola: anche i neandertaliani parlavano, ma noi forse parlavamo in maniera più metaforica di loro”.

Quali resti animali sono stati rinvenuti negli scavi; ed è attraverso questi che possiamo ricostruire la dieta degli uomini preistorici?
Certamente cacciavano e si nutrivano di molluschi marini, tanto l’uomo di Neanderthal quanto l’AMH: per alcune fasi più fredde della glaciazione sono emersi anche resti di renne! Mentre per le più fasi un po’ meno fredde, come al Riparo Bombrini, sono stati rinvenuti i resti di tutti quegli animali tipici della montagna, come stambecco, marmotta, ma anche volpe polare. Per le fasi più calde, interglaciali, ma ben più vecchie dei livelli ora in corso di scavo, è stato straordinario ritrovare addirittura resti di ippopotami e di malacofauna tipica del Mar Rosso! Questo ci racconta quanto il clima sia cambiato e come un tempo fosse, talvolta, anche ben più caldo di quello attuale”.